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Con la sentenza n. 17676/2020, pubblicata l’11 dicembre 2020, il Tribunale di Roma si è occupato della questione, sempre attuale, relativa alla possibilità o meno di poter mettere in discussione dinanzi al giudice dell’esecuzione e al giudice dell’opposizione il titolo esecutivo per fatti anteriori alla data della sua definitività.

Giovedi 31 Dicembre 2020

IL CASO: Una società debitrice proponeva opposizione ad un atto di precetto notificatole sulla scorta di un decreto ingiuntivo, eccependo la decadenza del creditore dalla garanzia fideiussoria per violazione dell’art. 1957 del codice civile, avendo richiesto il pagamento solo con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo e ben oltre il termine di sei mesi dalla comunicazione alla debitrice della revoca degli affidamenti concessi, nonché la natura vessatoria della clausola derogatoria dell’art. 1957 del codice civile contenuta nel contratto di affidamento.

Nel costituirsi in giudizio, la creditrice contestava le deduzioni avversarie chiedendo il rigetto dell’opposizione.

LA DECISIONE: Il Tribunale, dopo aver qualificato l’impugnazione come opposizione preventiva all’esecuzione in quanto aveva ad oggetto l’accertamento del diritto della creditrice di procedere ad esecuzione forzata, ha ritenuto l’opposizione infondata e nel rigettarla ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale dinnanzi al giudice dell’esecuzione e al giudice dell’opposizione il titolo esecutivo non può essere rimesso in discussione per fatti anteriori alla sua definitività, in quanto ogni questione di merito è riservata al giudice naturale della causa in cui la controversia ha avuto, ha potuto avere o sta avendo pieno sviluppo ed è stata od ha avuto la possibilità di essere od è tuttora in via di esame ex professo o comunque in via principale.

Pertanto, ha continuato il Tribunale capitolino, nel caso in cui alla base di una azione esecutiva venga posto un titolo esecutivo giudiziale, nessun controllo intrinseco sul titolo può essere effettuato dal giudice dell’opposizione preventiva o successiva all’esecuzione, al fine di invalidare la sua efficacia sulla scorta di eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo il giudice dell’opposizione all’esecuzione controllare soltanto la persistenza della validità del titolo e quindi attribuire rilevanza solo a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività (salvo il caso dell’incolpevole impossibilità, per il debitore, di farli valere in quella unica competente sede).

Nel caso esaminato dal giudice capitolino, i fatti modificativi od estintivi della pretesa creditoria dell’istituto bancario opposto dedotti dall’opponente erano tutti anteriori alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, di cui è stata minacciata l’esecuzione con il precetto e, pertanto, non più esaminabili in sede di opposizione all’esecuzione.

In altri termini, con l’opposizione all’esecuzione il debitore può dedurre fatti impeditivi o modificativi o estintivi del diritto azionato che si siano verificato in un momento successivo alla formazione del titolo esecutivo giudiziale o alla conclusione del processo in cui si è formato e avrebbe potuto essere modificato, mentre non può dedurre fatti che si siano verificati in epoca precedente che avrebbero potuto essere eccepiti nel giudizio di cognizione nel quale il titolo giudiziale si è formato.

 

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